Ho riflettuto sul bisogno del gentil sesso di sentirsi speciale. Sono giunto
alla conclusione che non si tratta di una condizione posta o di un attributo
richiesto nel corteggiamento ma è invece
parte dell’essere donna. Tutte le donne si sentono, infatti, speciali e non è tollerata l’eventuale non
riconoscenza di questo stato d’essere. L’accettazione aprioristica dell’unicità
e straordinarietà della propria persona deve essere un fatto scontato, da qui la
conseguente aspettativa che qualsivoglia relazione deve partire da questo
presupposto. In fase iniziale certo non mancano di sottolinearlo. Il livello di autoreferenzialità lo si
può facilmente desumere dal tono comparativo dei propri racconti e il ricco
utilizzo del pronome personale “io” o del pronome indefinito “nessuno” il cui
abuso ho sempre guardato con sospetto. Nessuno infatti ha passato quello che ha
passato lei e nessuno la capisce
veramente. Tra le mie amiche sono io che
so davvero cosa vuol dire… Lungi da me il tentativo di comprendere o di
spiegare. Me ne sono fatto da tempo una ragione e lascio ai giovani l’affascinante
compito di indagare il mistero del mondo femminile. Mi limito ad osservare
costanti di comportamento ovvero “pattern” come si direbbe in gergo
sociologico. Dunque spesso mi è capitato di trovarmi ad ascoltare storie di vita
che oscillano tra il mero vittimismo
di essere più sfortunato al mondo, a nocchiero di un veliero proiettato verso
il mare del duemila… Inevitabilmente l’autoreferenzialità,
che rasenta l’egocentrismo, innesca inevitabili conseguenze. In primis un
livello altissimo di competizione con le altre donne, e scusate, su questo punto da tempo noi uomini abbiamo
compreso l’importanza del gioco di
squadra (Nash docet), ma anche un atteggiamento iperselettivo nei confronti
degli uomini, esasperando atavici comportamenti di scuola antropologica sulla scelta del maschio, che si traduce in un mero egoistico
atteggiamento di esclusività: l’utero è
mio e decido io. Certo, in un mondo
ideale vigerebbe lo schema del chiedete
e vi sarà dato ma date le premesse bisogna stare al gioco ed è dovuta
qualche moina. Non ci vuole poi così tanto a dare importanza e a rendere
speciale qualcuno, basta qualche non mi
dire, ma davvero, ti capisco e un paio di sei davvero unica ed il gioco è fatto. Poi tra tante capita di
incontrare dei veri casi patologici dove l’essere speciale assume connotati
epici invadendo tutti gli aspetti della propria vita. In quei casi allora non
basta considerare se stessi speciali ma attraverso un effetto re mida diventa
speciale tutto ciò con cui si ha a che fare. Si inizia a dare un nome a tutte
le cose e tutto deve avere a che fare
con i massimi sistemi. La mia vita è
il soggetto ideale per un film esistenzialista, la mia relazione sembra un romanzo
d’altri tempi e perfino una spiaggia deserta e sperduta diventa un momento
pregno di emozioni da essere vissuto intensamente. Così aspetti e ti trovi a
fumare cento sigarette mentre lei deve a tutti i costi farsi una passeggiata in solitaria per contare fino all’ultimo
granello di sabbia meditando sul senso della vita e dell’esistenza,
tralasciando però il senso di ciò che si sta facendo in quel preciso istante. Mi
sorprende sempre questa capacità di volersi a tutti i costi complicare la vita
perdendosi nella ricerca del dare un nome alle cose anziché alleggerirsi l’esistenza
rendendosi conto che a volte basta vivere. Chi più si reputa speciale più si
lamenta di non trovare il fidanzato all’altezza. Bhè, mi piacerebbe rammentare
a chi non fa altro che dirsi unica che, mia cara, fatte alcune eccezioni
tipo Hitler e Einstein, facciamo tutti
parte del grande medione del genere umano. Come qualcuno ha detto meglio di me
l’impresa eccezionale è essere normale.
Telefonami quando avrai preso coscienza di questa semplice e universale verità,
perché a me di pensieri bastano i miei e non ho bisogno di dare un significato
ad ogni cosa che accade, ne tantomeno di qualcuno che si aspetta che lo faccia.
domenica 7 ottobre 2012
Chi ti credi di essere?
Ho riflettuto sul bisogno del gentil sesso di sentirsi speciale. Sono giunto
alla conclusione che non si tratta di una condizione posta o di un attributo
richiesto nel corteggiamento ma è invece
parte dell’essere donna. Tutte le donne si sentono, infatti, speciali e non è tollerata l’eventuale non
riconoscenza di questo stato d’essere. L’accettazione aprioristica dell’unicità
e straordinarietà della propria persona deve essere un fatto scontato, da qui la
conseguente aspettativa che qualsivoglia relazione deve partire da questo
presupposto. In fase iniziale certo non mancano di sottolinearlo. Il livello di autoreferenzialità lo si
può facilmente desumere dal tono comparativo dei propri racconti e il ricco
utilizzo del pronome personale “io” o del pronome indefinito “nessuno” il cui
abuso ho sempre guardato con sospetto. Nessuno infatti ha passato quello che ha
passato lei e nessuno la capisce
veramente. Tra le mie amiche sono io che
so davvero cosa vuol dire… Lungi da me il tentativo di comprendere o di
spiegare. Me ne sono fatto da tempo una ragione e lascio ai giovani l’affascinante
compito di indagare il mistero del mondo femminile. Mi limito ad osservare
costanti di comportamento ovvero “pattern” come si direbbe in gergo
sociologico. Dunque spesso mi è capitato di trovarmi ad ascoltare storie di vita
che oscillano tra il mero vittimismo
di essere più sfortunato al mondo, a nocchiero di un veliero proiettato verso
il mare del duemila… Inevitabilmente l’autoreferenzialità,
che rasenta l’egocentrismo, innesca inevitabili conseguenze. In primis un
livello altissimo di competizione con le altre donne, e scusate, su questo punto da tempo noi uomini abbiamo
compreso l’importanza del gioco di
squadra (Nash docet), ma anche un atteggiamento iperselettivo nei confronti
degli uomini, esasperando atavici comportamenti di scuola antropologica sulla scelta del maschio, che si traduce in un mero egoistico
atteggiamento di esclusività: l’utero è
mio e decido io. Certo, in un mondo
ideale vigerebbe lo schema del chiedete
e vi sarà dato ma date le premesse bisogna stare al gioco ed è dovuta
qualche moina. Non ci vuole poi così tanto a dare importanza e a rendere
speciale qualcuno, basta qualche non mi
dire, ma davvero, ti capisco e un paio di sei davvero unica ed il gioco è fatto. Poi tra tante capita di
incontrare dei veri casi patologici dove l’essere speciale assume connotati
epici invadendo tutti gli aspetti della propria vita. In quei casi allora non
basta considerare se stessi speciali ma attraverso un effetto re mida diventa
speciale tutto ciò con cui si ha a che fare. Si inizia a dare un nome a tutte
le cose e tutto deve avere a che fare
con i massimi sistemi. La mia vita è
il soggetto ideale per un film esistenzialista, la mia relazione sembra un romanzo
d’altri tempi e perfino una spiaggia deserta e sperduta diventa un momento
pregno di emozioni da essere vissuto intensamente. Così aspetti e ti trovi a
fumare cento sigarette mentre lei deve a tutti i costi farsi una passeggiata in solitaria per contare fino all’ultimo
granello di sabbia meditando sul senso della vita e dell’esistenza,
tralasciando però il senso di ciò che si sta facendo in quel preciso istante. Mi
sorprende sempre questa capacità di volersi a tutti i costi complicare la vita
perdendosi nella ricerca del dare un nome alle cose anziché alleggerirsi l’esistenza
rendendosi conto che a volte basta vivere. Chi più si reputa speciale più si
lamenta di non trovare il fidanzato all’altezza. Bhè, mi piacerebbe rammentare
a chi non fa altro che dirsi unica che, mia cara, fatte alcune eccezioni
tipo Hitler e Einstein, facciamo tutti
parte del grande medione del genere umano. Come qualcuno ha detto meglio di me
l’impresa eccezionale è essere normale.
Telefonami quando avrai preso coscienza di questa semplice e universale verità,
perché a me di pensieri bastano i miei e non ho bisogno di dare un significato
ad ogni cosa che accade, ne tantomeno di qualcuno che si aspetta che lo faccia.
domenica 23 settembre 2012
Ti preferivo col mal di testa!
A cose fatte il tuo unico pensiero è infilarti
i pantaloni e fuggire come da una casa in fiamme. Nell’imbarazzante silenzio
guardi il soffitto in attesa di un segno per alzarti dal letto, mentre lei, tristemente consapevole, cerca
di rimandare di qualche minuto l’inevitabile.
Si glissa pudicamente sull’accaduto e lei, pur di tenerti a letto, rilancia con
domande e confidenze. A quel punto hai trovato una scusa qualunque e ti stai
già allacciando le scarpe. Scendi le scale
abbottonandoti la camicia, pensi alla bella serata e prendi nota per una
telefonata da farsi prima o poi. Al di là delle situazioni imbarazzanti ognuno
sa che parte recitare, il copione è invece imprevedibile nella fase che precede
l’amplesso. Dalla serie non dire gatto
se non ce l’hai nel sacco, può sempre accadere qualcosa che fa concludere la
serata in un nulla di fatto. Ammesso e non concesso che si può cambiare idea,
anche, diciamo, a discorso ormai avviato, ritengo che ci sia un che di sadico
che cresce al crescere dell’dea dell’”ormai è fatta “. In quel caso non puoi
far altro che accettare il voltagabbana, prenderti il due di picche e fartene
una ragione. Tanto a spiegarti le ragioni psico-ormonali non ne verrai mai a capo. Ciò che reputo
oltremodo divertente è il tentativo di addurre motivazioni plausibili o scuse
strampalate. Improvvise dissenterie, classici mal di testa, esco da una storia
di tre anni con un tipo e troppe ne ho sentite. Mi è anche capitato di sentirmi contestare il
dress code del mio intimo non ritenuto consono all’occasione. Ho detto che per
fare quello che stavamo per fare le mutande le avrei tolte… anzi, poi ho tolto
anche i calzini avendo letto su Men’s Health che era bene farlo.
L’intimo inopportuno, pur essendo
sicuramente tre le dieci migliori scuse per dire che ho cambiato idea, non può
mai eguagliare la confessione ai confini della realtà che mi è stata fatta quasi
sul più bello:
Scusa
ma che succede?
No..
ma.. No, è che non sono a mio agio…Dipende da me? Ho fatto qualcosa che… ?
No, no… con te sto benissimo… è per una scelta che ho fatto…
Che scelta? Non capisco…
La mia è una scelta di castità
…!
… neanche mia madre condivide…
….!!
.. è una scelta difficile da rispettare…
…!!!
… pensa che a volte sogno cazzi che volano!
… !!!!
giovedì 13 settembre 2012
Ciao, sai cosa vuol dire ciao?
Ora di punta, stazione di snodo della
metropolitana, affollatissima scala mobile a due corsie che lenta porta su una
fiumana di gente. Io immerso nella folla mi faccio portare da questa corrente
meccanica ripassando a mente i vari impegni della giornata, quando nell’altra
corsia che sale lenta noto una ragazza avvenente dai vistosi capelli rossi. In
quell’istante una voce si leva forte da una scala all’altra: “a bella me pari n’semaforo!”
Oggi, che ho finalmente compreso che lo sbaglio più grande in qualsiasi tipo di
approccio è quello di dare importanza all’interlocutrice o ancor peggio volere
a tutti i costi risultare simpatico, sono propenso a pensare che quell’esternazione
di sincerità sia meritevole di considerazione.
Naturalmente tutto si è concluso in una risata
da parte degli astanti e niente di più. Però, l’atteggiamento tutto sommato è
quello giusto.
Diciamocelo, ai più oggi la parola manca. Volere
essere a tutti i costi interessanti, acuti, intelligenti, simpatici è impresa a
tanti davvero ardua. Se poi ci si fa prendere pure dall’ansia che il grosso dell’opinione
di te se la fa entro le prime tre o quattro parole che dici, ti viene subito da
sperare in un ritorno di Passaparola in tv per gli studenti dell’ultima ora. Peggio
mi sento a parlare di social network, emmemmesse, essemmesse e semeladesse. Rimarrà
per sempre un mistero per me come, con le unghie appena rifatte, sia in grado
di digitare su una tastiera minuscola a tale velocità. È una guerra persa.
Preferisco desistere e se ho qualcosa da dire chiamo. Per natura l’uomo parla e
dimentica mentre la donna rimugina, ripensa e cerca messaggi subliminali quando in realtà il messaggio è uno e uno
solo. Per stare sereno, cerco di evitare di creare uno storico di minchiate sulla
memoria virtuale del suo telefono, tanto prima o poi mi si ritorceranno contro.
La donna oggi ha bisogno di sentirsi parlare
addosso e allora si parla, si parla, si scrive, poi si parla ancora… tutto per
girare attorno ad un discorso che in
realtà è ben chiaro a tutti. Non è facile non farsi trarre in inganno e senza
accorgersene si è trascinati in un vortice di parole che, ahimè, presto si
esauriscono. E poi? Di che vogliamo parlare? Delle tue scarpe nuove? Delle tue
vacanze? E mentre lei parla tu ti chiedi per quanto ancora dovrai fingerti
interessato prima di raggiungere l’agognato traguardo.
In realtà basterebbe essere chiari nelle
intenzioni sin dal primissimo approccio, anche quando questo appartiene alla
categoria dei più banali:
Ciao, scusa hai una sigaretta?
Si, tieni
Grazie
Vuoi anche da accendere?
No, la fumo dopo
Dopo quando?
Dopo che t'ho scopata
sabato 8 settembre 2012
come fan presto, amore, ad appassir le rose
Pensavo che sarebbe stato carino non presentarmi all'appuntamento a mani vuote. Così, prima di arrivare con prudente anticipo al nostro incontro, avevo deciso di fermarmi per acquistare dei fiori. Il gesto non ha niente a che fare con la carineria, siamo onesti, ma andare dal fioraio, sforzarsi di fare una scelta originale, passaggiare per il centro con i fiori in mano, in fondo non mi era dispiaciuto. Avevo scelto un'orchidea gialla, di cui ignoro assolutamente il significato nel linguaggio dei fiori, ed avevo esordito sostenendo che lei non mi sembrava il tipo da rose rosse. Invece, pensando a lei durante la scelta, quell'orchidea mi aveva ispirato. Il suo apprezzamento era visibile. Disse che è raro ormai un uomo che regala dei fiori.
Presi questa cosa come un complimento anche se l'immagine di uomo d'altri tempi, che pensai lei mi avesse attribuito, mi turbò leggermente. In fondo la foto un pò sbiadita e stantìa di uomo da macchina lavata, barba dal barbiere e pantaloni di vigogna, certo non mi appartiene. Ad ogni modo, quei fiori poggiati sul tavolo della graziosa enoteca fanno oggi parte del ricordo che ho di quella serata. Come sempre mi finsi interessato alle sue parole e pur ascoltando meno della metà dei suoi discorsi feci anche qualche domanda che risultò, non so come, particolarmente pertinente.
Alla metà del secondo calice di vino arrivò il momento delle confidenze. Si tratta di un pretesto per vagliare le reazioni a qualcosa che le sta particolarmente a cuore. Nell'esito della serata o nel pssibile prosequio della relazione è un momento molto importante, soprattutto per garantire il senso di fiducia e sicurezza di cui ogni donna ha bisogno. L'argomento che tirò fuori è uno dei miei preferiti: il rapporto uomo-donna e le passate esperienze. Mi disse che dopo aver seguito un seminario dal titolo "mio padre e gli altri uomini della mia vita" era adesso pronta ad avere una relazione con qualcuno soprattutto per mettersi alla prova e misuare i risultati del suo percorso catartico che avrebbe risolto i suoi difetti causa di tanti fallimenti relazionali. Lo ammetto, il titolo del seminario era francamente inquietante ma avevo davanti una che finalmente aveva deciso di divertirsi un pò anche se per arrivare a questo si era sorbita numerose riunioni settimanali al gruppo delle disilluse anonime. Colto il messaggio mi atteggiai da primo che capita e la strategià pagò.
All'alba del giorno dopo mi feci un caffè mentre lei dormiva nell'altra stanza. Prima di andar via per non cercarla mai più, le sistemai l'orchidea e pensai che il suo prossimo seminario poteva essere "fiori e altre caramelle dagli sconosciuti".
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